Gianni Del Bue
“Dialoghi liquidi”
Testo di Francesco Poli
“Da dove veniamo? Chi siamo? Da dove andiamo?”, queste fondamentali domande filosofiche che a suo tempo si era posto Gauguin, sono sostanzialmente le stesse che si pone Gianni Del Bue, anche se ovviamente la sua pittura è quanto di più lontano si possa immaginare il rispetto all’esotismo simbolista del pittore francese. Questo per dire, con un po’ di enfasi, che il risolvibile enigma della condizione umana, e cioè del senso e del destino individuali e collettivi, non ha confini temporali, geografici o culturali, ed è inesorabilmente presente in qualsiasi contesto di realtà, anche in quello dal nostro punto di vista, più normale e quotidiano. Del Bue, che è a suo modo una sorta di umanista ironico e disincantato, affronta questo tema cruciale con apparente modestia minimalista, in una narrazione visiva che si sviluppa all’interno di un singolare teatro figurativo dell’esistenza che prende forma e consistenza espressiva attraverso la circoscritta messa in gioco dei suoi personaggi in ben determinati contesti urbani storici, scorci di paesi e strade di provincia, paesaggi collinari, e rive di stagni e di modesti corsi d’acqua.
Si tratta di un mondo che galleggia in una dimensione spazio-temporale sospesa, quasi metafisica, dove convivono aspetti moderni e suggestioni nostalgiche, echi culturali passati e questioni di stringente attualità: il tutto attivato da uno straniante filtro estetico che determina una tensione del tutto particolare, all’incrocio fra realtà e favola.
La formula di questo filtro che trasforma la visione del microuniverso di Del Bue in una messa in scena con valenze immaginifiche sta innanzitutto nelle specifiche caratteristiche delle atmosfere luminose, che sono modulate su un singolare registro naturalistico, con una sensibilità cromatica attutita, sempre venata da accenti evocativi, crepuscolari, anche melanconici, con qualche eco romantico, sempre però relativizzato dalla presenza costante di una vena ironica, e magari anche di qualche tentazione parodistica.
A dominare sono i verdi-grigi, i rossi-arancioni-violacei, i bruni e ocra, i gialli nebbiosi, che emanano un chiarore diffuso, in contesti naturali e abitati. Ma del bue è anche specialista nel creare effetti luminosi notturni piuttosto suggestivi, per esempio con i fari di auto e moto che sfrecciano nelle strade, con lampioni urbani e finestre di abitazioni, e con incantate visioni sotto la neve. Questa dimensione luminosa risulta più come un riflesso di una luce interna dell’immaginazione mentale che come la trascrizione diretta di esperienze percettive della realtà esterna. Ed è perciò che tutti i luoghi, anche quelli minutamente descritti, appaiono trasfigurati, e i personaggi in scena hanno sempre qualcosa di irreale. Le composizioni di del Bue presentano delle situazioni spiazzanti e anche paradossali, con personaggi che nelle città vagano in cortili o si radunano su terrazze e cime di torri; che si affollano di notte e sotto la pioggia sui bordi delle strade per vedere le automobili in gara (mitiche MilleMiglia); che stanno seduti intorno a un tavolino di bar chiuso, sotto un lampione e sotto la neve; o che in gruppi scelti sembrano discutere sui massimi sistemi in mezzo all’acqua di stagni desolati.
La serie di quadri con i filosofi negli stagni, che compaiono già nel lontano 1991, è la più intrigante e, per così dire, la piu metafisicamente dechirichiana (anche se i riferimenti più evidenti al “Pictor Optimus” possono essere trovati nelle scene con piazze e torri). Qui emerge con più originale efficacia un lirismo ironico e melanconico, e con esemplare evidenza visionaria, la percezione della condizione umana “in mezzo al guado”. Sono piccole allegorie esemplari dei dialoghi liquidi che, come c’è insegnato Sigmund Bauman, imperversano ormai a tutti i livelli su scala globale.
Francesco Poli
1991 – Dialogo Italiano